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Il successo…da dove arriva?

La parola successo richiama una serie di concetti, astratti e non, tutti volti a rappresentare un punto di arrivo, un risultato.
Indubbiamente se si immagina un punto di partenza in qualunque situazione, non si pensa subito al successo, ma ad un percorso da intraprendere per arrivarci.
Per alcuni è frutto del talento, per altri è strettamente legato ai soldi e al potere di influenza, ma se si vuole davvero comprendere cosa sia il successo, e soprattutto arrivarci, è necessario capire cosa va cambiato, quale comportamento va adottato.
Se vuoi arrivare al successo presumo che tu non ci sia ancora approdato. Non parlo di un successo assoluto, come persona nella vita, ma parlo del successo di un progetto, di un’attività, individuale o organizzativa.
♦️ Uno step è necessario definirlo: per condurre una situazione da uno stato attuale perfezionabile ad uno stato desiderato (il successo) devi introdurre un cambiamento. Questo cambiamento può riguardare la sostanza, la forma, la disposizioni, o anche solo la velocità di alcune cose, ma va introdotto nel modo più efficace e funzionale alle necessità di chi lo intraprende.
E già da qui potremmo parlare per ore.
Tanto per cominciare, se vuoi evitare un cataclisma immediato, non cambiare ciò che non conosci: intervieni solo su situazioni di cui conosci ogni dettaglio.
Osservare la situazione attuale ti fornisce un quadro di riferimento attendibile e una base da cui far partire le tue azioni future.
Se ad agire non sei da solo – e sicuramente non lo sei perché anche se non hai collaboratori, avrai comunque interlocutori d’altro tipo, dai clienti ai fornitori – un passaggio importante verso la strada per il tuo successo è ottenere il consenso delle persone coinvolte
Non si tratta di consegnare il proprio destino nella mani di altri, ma di capire che nel lavoro non sei da solo e devi fartene una ragione.
Alla fine di questa trafila non indifferente di azioni da compiere arriva il momento topico: devi programmare e impostare le attività da intraprendere, le iniziative da lanciare, i progetti da implementare.
Se ti hanno insegnato che impostato lo schema il gioco è fatto, fai un passo indietro e metti in discussione le tue convinzioni: non partono nuovi modi di agire se non si lavora sulla cultura sedimentata e condivisa delle persone coinvolte.
La chiave di questo passaggio è qui → se vuoi attuare un cambiamento per raggiungere il successo desiderato fai in modo che le persone vivano e respirino il cambiamento.
Comunicalo, raccontalo con un modo diverso di agire, smantella quello che non ha funzionato.
Quest’ultimo passo richiede tempo, energia e soprattutto sistematicità.
Comunicazione e formazione per un tale obiettivo possono stringere un’alleanza preziosa👌
Concetti, idee, motivazione.
E poi si agisce, concretamente.
Come?
Parliamone!

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parlare-in-pubblico-paure

Parlare in pubblico ti terrorizza? Conosci le tue paure per superarle.

Quante volte mi hai sentito di dire che la paura di parlare in pubblico è la seconda in assoluto dopo quella di morire?
Può sembrare assurdo, vero.
Quando sei sul palco, ma persino di questi tempi in call, si fanno spazio della paure che nemmeno sapevi di poter provare.
Te lo dico dopo anni di training a professionisti validissimi nelle loro professioni, ma terrorizzati all’idea di comunicare qualcosa, a voce, pubblicamente, fosse anche un pubblico di 10 persone.
Le paure risiedono nell’irrazionale, quindi, in questa sede, ha senso provare a conoscerle meglio con il solo obiettivo di superarle perché, te lo dico chiaramente, se ti lasci bloccare la delusione diventerà la più forte di queste paure.
E la frustrazione … meglio non tirarla in ballo.
Allora andiamo al sodo, affrontale subito, capendone la natura:
➡️  non riesco a parlare a lungo di un determinato argomento. Hai un timer interiore??? Ci sono due leve da poter utilizzare: in primo luogo oggi la sintesi è molto apprezzata … ad una condizione però – ed è il secondo punto –  che ci sia sostanza, quindi il contenuto va studiato e preparato bene!
➡️  qualcuno tre il pubblico ne sa più di me. Può darsi che accada, inutile temerlo. Questa condizione è possibile che si verifichi, ma non su tutta la performance. Ti spiego: è possibile che qualcuno ne sappia più di te su un punto, un argomento, ma non su tutto quello che hai da dire. Se poi si tratta di un collega e le vostre competenze sono simili o complementari, gestisci la tua presentazione coinvolgendolo, ti conferirà sicurezza e apertura mentale. Può essere funzionale al tuo discorso, pensaci!
➡️  non verrò preso sul serio: questa è una della paure più terribili, ma qui con un buon allenamento non c’è bisogno di improvvisazione. Ecco la soluzione: competenza negli argomenti trattati e soprattutto un buon lavoro sulla tua  Comunicazione d’Impatto per creare un alto livello di credibilità. Non sai farlo? C’è poco da fare: vieni da me e non avrai più questo problema.
➡️  risulterò buffo? Perché mai? Già è capitato? Ti succede quando sei nervoso? Autoironia e personalità! Questa è la chiave vincente. Bisogna lanciarsi, capire i propri limiti e solo così scoprire con meraviglia inaspettati punti di forza.
Sono esaurite qui le paure?
Certo che no, te ne elencherò ancora, ma la regola generale non sbaglia mai: studiare, essere competenti, allenarsi.
Sempre 🔝
Adesso puoi andare 😉
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Ci sta!

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Distanziamento personale e distanza sociale: la storia modifica il linguaggio.

Distanziamento personale

Il distanziamento è ormai un concetto noto al punto da essere una delle parole più utilizzate dal 2020. 
 
Chi lo stabilisce, come si definisce, è facile rispettarlo?
I fatti recenti hanno lasciato poco spazio alla libera iniziativa, stabilendo le nuove distanze in funzione di regole ben precise dettate dall’urgenza e dalla prudenza.
Rispettare un distanziamento per alcuni è più facile che per altri, per diversi motivi: maggiore indipendenza e capacità di restare da soli, svolgere una professione che può essere seguita anche da casa, avere un nucleo affettivo raggiungibile anche in situazioni di isolamento.
 
Insomma, in termini sociali il distanziamento è stato oggetto di osservazione per mesi e mesi, quello su cui è necessario interrogarsi è come abbia inciso sul linguaggio e sul modo di comunicare.
 
Durante il periodo degli europei di calcio sono entrato in una pizzeria da asporto e, mentre aspettavo il mio turno, l’occhio mi è caduto su un avviso affisso sul bancone: mantenere la distanza sociale di 1 metro dalle altre persone.
 
Mi ha incuriosito il fatto che a qualcuno sia venuto in mente di usare questa espressione, di unire il termine “sociale” ad una parola che si spiegava in modo esaustivo da sola.
Distanza personale, sarebbe stato più corretto, ma l’utilità di quell’avviso ad oggi sta nel fatto che ha aperto una riflessione nella mia testa su tutte le possibili sfumature della prossemica e di quanti fattori entrino in gioco quando le persone si avvicinano le une alle altre, pandemia a prescindere.
 
🔴  La distanza sociale ha una definizione ben precisa che ti invito a ripassare cliccando sull’articolo dedicato (LA PROSSEMICA: GESTIONE DELLO SPAZIO NELLE DINAMICHE INTERPERSONALI), il distanziamento personale è una misura d’emergenza adottata per salvaguardare la salute delle persone nel corso di un’emergenza sanitaria.
 
Tuttavia il concetto di distanza prossemica subisce molte inflessioni in funzione di specifici fattori che hanno un peso non indifferente e su questo voglio condividere una riflessione con te.
 
Quando le persone si avvicinano, fisicamente, in un’interazione, tutto il loro comportamento è soggetto a cambiamenti. Questi cambiamenti si verificano in base ad alcuni fattori, quali.
 
➡️  il livello di intimità nei rapporti: se una persona è a te cara, potresti vivere una sua distanza fisica come un abbandono e non come una forma di rispetto.
 
➡️  lo status sociale: i personaggi di potere hanno una sfera prossemica molto vasta, legata al senso di rispetto, alla protezione della privacy, all’assenza di elementi da condividere.
 
➡️  l’etnia: in funzione della cultura di appartenenza la distanza viene percepita positivamente o negativamente, questo nella storia non ha facilitato alcune volte le relazioni diplomatiche.
 
➡️  il temperamento: un elemento assolutamente personale e soggettivo che può avere una grande influenza sulla percezione della distanza. Solitamente infatti le persone più estroverse tendono a oltrepassare i limiti della distanza sociale, quelle più timide restano nel loro spazio riservato e protetto.
 
Osserva.
Guarda come si muovono le persone nelle varie situazioni, analizza il modo in cui gestiscono lo spazio nell’interazione con gli altri.
 
Osserva e studia!
Ma soprattutto presta sempre grande attenzione al tuo linguaggio, non cadere nei tranelli della comunicazione, pur apprezzandone le strategie.
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Nel legame tra mente e corpo occhio alla fuga di informazioni

Le informazioni tra mente e corpo

Il legame tra mente e corpo è sancito da un passaggio di informazioni, secondo un processo per cui la mente invia un input e il corpo mette in atto dei comportamenti.
Questo è il motivo per cui conoscere il linguaggio del corpo aiuta nella comprensione delle intenzioni della mente.
A ogni pensiero è legata un’azione che ha un suo luogo nello spazio e delle conseguenze su cose e persone.
 
Saper interpretare i movimenti del corpo, come abbiamo visto nel post sul Significato dei Gesti, ti facilita in 2 diverse tipologie di azione:
 
  1. comprendere il significato reale dei messaggi verbali di chi ti parla.
  2. comunicare in modo più efficace esercitando un maggior controllo sul tuo corpo e orientare la conversazione verso il tuo obiettivo.

La fuga di informazioni

Perché il rischio di una fuga di informazioni?

Perché quando comunichi qualcosa, insieme alle parole, vengono fuori i sentimenti, le emozioni e per quanto ci si possa impegnare nel controllare i propri movimenti, il corpo può ingannarci e lasciar trapelare lo stato emotivo che stiamo vivendo. 
 
La fuga di informazioni, come avrai capito, riguarda i sentimenti negativi, quelli legati al disagio, all’imbarazzo. Nella relazione con gli altri, negli scambi verbali, non si ha alcun motivo per nascondere sentimenti positivi.
 
L’occultamento di solito è rivolto alle emozioni scomode, quelle che possono deviare l’andamento della comunicazione verso direzioni non desiderate. 
Il rischio più alto nella fuga di informazioni è che vengano alla luce nette incongruenze tra ciò che si dice con le parole e ciò che il corpo comunica. 
 
L’emozione che più di tutte ha il potere di generare una fuga di informazioni è l’ansia.
La psicologia fa riferimento a due diverse tipologie di questo stato d’animo:
➡️  ansia caratteriale: fa parte del modo di essere, è un tratto della personalità, non è legata a una specifica situazione, ma tende piuttosto a farsi spazio in molte situazioni.
➡️  ansia situazionale: è legata a cause specifiche, situazioni che non si è in grado di gestire, a stimoli che hanno il potere di spostare lo stato d’animo dall’armonia al disagio.
 
Avere la capacità di cogliere gli elementi in azione in una fuga di informazioni è importante perché offre l’opportunità di supportare l’interlocutore nel recupero di uno stato d’animo positivo, di creare un nuovo momento di empatia all’interno del quale poterlo aiutare ad esprimere i suoi contenuti senza l’ostacolo dell’emotività.
Riconoscerlo su te stesso, invece, ti salva da un bel pasticcio, ti consente di recuperare le situazioni prima che le conseguenze rovinino i tuoi progetti, i tuoi affari.
 
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segnali-di-apertura-chiusura

Apertura e chiusura: capire chi mente osservando i segnali del corpo

I segnali di apertura e chiusura nei movimenti del corpo

 
Di segnali il nostro corpo ne trasmette moltissimi, attraverso una serie di movimenti veloci e spesso inconsapevoli che l’interlocutore compie di continuo.

Nel tentativo di comprendere nel modo più dettagliato e completo possibile quello che ci viene detto, può essere di grande aiuto capire lo stato d’animo, l’atteggiamento di chi parla, a partire dall’osservazione di due principali tipologie di segnali individuati da James Borg:
➡️  serenità o disagio
➡️  apertura o chiusura
Il legame tra gli elementi citati non ha bisogno di ulteriori spiegazioni: quando una persona è a proprio agio, si sente serena e manifesta segnali di apertura, quando è attanagliata da ansia, paura, agitazione mette in atto segnali di chiusura.
 
Ti chiederai a cosa ti serva sapere cosa prova chi ti sta parlando.
Ti rispondo subito: a evitare problemi e risolvere immediatamente dubbi e resistenze se ce ne sono. Lo stato d’animo di chi comunica non è strettamente legato a un suo momento personale, ma spesso è fortemente connesso con il contenuto della sua comunicazione.
Se è poco convinto, se ha dubbi seri, se sta mentendo, tu lo devi sapere.
 
Perché?
 
Perché molto probabilmente a seguito di quella comunicazione ci sarà una tua azione, le sue parole apriranno una direzione che tu ti sentirai portato a seguire e se quella direzione è il risultato di un dubbio imboccherai tu la strada sbagliata e ne pagherai le conseguenze.
Imparare a distinguere i segnali di chiusura da quelli di apertura ti allerta da rischi di questo tipo e può salvarti da conseguenze di grave portata. 
 

Comprendere lo stato d’animo non significa che la tua vita diventa una missione d’aiuto verso i momenti bui del tuo interlocutore, ma che puoi intervenire in una conversazione con delle domande molto mirate e strutturate in una modalità costruttiva per scandagliare il contenuto e capire dov’è l’ostacolo.

Segnali di apertura e chiusura

Capire chi mente in questo caso è più facile che in altri perché il grande vantaggio dei segnali di apertura e chiusura è che sono facilmente interpretabili, basta saper dedicare la giusta attenzione e concentrazione all’osservazione dei comportamenti.

Zoom:

🔴  La caratteristica principale dei segnali di apertura è che indicano nell’atto comunicativo la totale assenza di ostacoli di carattere sia fisico che psicologico. Il corpo si esprime esponendosi al mondo, senza ritrosie né paure. Solitamente le gambe sono sciolte, le mani aperte, c’è un buon contatto oculare e nulla trasmette tensione nervosa.

🔴  Diversamente accade quando la persona che sta comunicando sta vivendo uno stato d’animo negativo, legato all’ansia, la paura, l’agitazione ed esprime segnali di chiusura. La chiusura si esprime avvicinando molto gli arti al corpo, contraendo la muscolatura e mantenendo un basso o scarso contatto oculare.

Ora facciamo un esercizio.
Prima di osservare questi segnali negli altri e iniziare la caccia ai mentitori che ne diresti di analizzare il tuo modo di comunicare attraverso i segnali del corpo?
Come comunichi quando ti senti in un certo modo?

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Le 5 domande strategiche di un piano di Comunicazione efficace.

Per progettare un piano di comunicazione efficace, dal punto di vista della strategia e dei risultati, è importante porsi 5 fondamentali domande.

Mi dirai: se basta questo allora tutti possono farlo.
Tutti possono sicuramente, il problema spesso risiede nel fatto che non sanno di doverlo fare o non hanno idea di dove acquisire gli strumenti per saperlo fare 🧐

Un piano di comunicazione è come un pacco che arriva, c’è un mittente, uno o più destinatari, un contenuto.
Ma chi sceglie cosa c’è dentro?

Il mittente sicuramente.

Ma come sceglie il momento giusto, il contesto coerente, e soprattutto il contenuto?
Come capisce cosa inserire in un contenitore che arriva a persone diverse per mille infiniti motivi?
Adesso invece dirai: questa cosa è impossibile da fare.
E anche qui ti sbagli.Andiamo nel concreto, entriamo nel tuo mondo, o in un mondo che puoi facilmente immaginare, e simuliamo una situazione plausibile.Hai qualcosa da dire ai tuoi dipendenti. Non parliamo di un piccolo team, ma di una fetta più corposa, facciamo che si tratta dei tuoi dipendenti, tutti diversi, con ruoli diversi, che lavorano da luoghi diversi.Sai cosa devi dire, sai quanto conta per te e le conseguenze che potrebbe avere sui tuoi affari, ma non sai come costruire un piano di comunicazione all’interno del quale collocare ciò che devi dire.Il punto di partenza è sicuramente l’indagine: una ricerca basica ma strategica su cinque elementi che devono poterti orientare nella stesura del piano.

➡️  a chi comunicare?
➡️  quando farlo?
➡️  cosa comunicare?
➡️  quale strumento usare per farlo?
➡️  da dove farlo? Ovvero: che posizione occupa chi ha la responsabilità di agire una comunicazione?

Prova a sfuggire a una sola di queste domande e il tuo piano di comunicazione traballerà

🔴 Se non riesci a immaginare chi ti ascolta non sei in grado di definire il momento migliore per parlargli, con che strumento arrivare alla sua attenzione, a chi assegnare il compito, di solito delicato, di trasmettere il messaggio.

Il destinatario è il punto di partenza, quello che in ogni comunicazione promozionale viene definito target, ma la sola individuazione di questo dato non basta.


Scegliere il momento giusto è il secondo passaggio. Non tutte le persone coinvolte si trovano nella stessa fase della vita, nello stesso mood personale o professionale, nella stessa predisposizione emotiva. Avvisarli in anticipo dell’arrivo di una comunicazione è importante.

Come capire come attraversare tutti? Basandosi sul tempo che i destinatari condividono! Il loro solo punto di contatto è quello. Devi conoscere il momento dell’azienda, in termini di storia, di rapporto con la concorrenza, di posizione sul mercato.
Quale mezzo usare?
Semplicemente quello più efficace.
Quello su cui hai testato che i tuoi interlocutori, come gruppo, sono più ricettivi. Ce ne sono molti: un comunicato stampa, un briefing, un seminario, una mail, una diretta.

A chi l’arduo compito? A chi per posizione, obiettivi, ruolo, valori, è più vicino ai destinatari e più in grado di esaurire il significato del contenuto.
Il team leader, l’amministratore delegato, l’HR manager.

Il contenuto. Content is the king, vale sempre. Chiaro, immediato, dettagliato, argomentato.
Puoi decidere tu se riuscire o fallire.
E … la prossima volta su questo ti dirò di più.
Vuoi saperlo ora?
 
Va bene, scrivimi!
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Come gestire la resistenza al cambiamento ( … to be continued)

Gestire la resistenza al cambiamento è fondamentale per proteggere business e relazioni.

Nel post della scorsa settimana ( Chi ostacola il cambiamento? Scoprilo con le 9 categorie di Egan) abbiamo già incontrato i primi 4 possibili atteggiamenti di risposta al cambiamento.

➡️  i soci

➡️  gli alleati

➡️  i compagni di viaggio

➡️  i compagni di dormitorio

Tutti soggetti che scelgono come reagire alle trasformazioni in corso e partecipano, con supporto o avversione. In funzione della fiducia che esprimono nei confronti dei promotori del cambiamento e della misura in cui credono in esso sposano o meno la causa. Possono promuovere il cambiamento e alimentare tutte le attività messe in atto per renderlo possibile e calzante con il contesto di riferimento.

Hai già individuato tra i tuoi collaboratori qualcuno dei soggetti studiati da Egan?
Hai saputo collocare ognuno di loro nella sua categoria di comportamento di appartenenza?

🔴 La tua capacità di riconoscere la posizione dei tuoi collaboratori è direttamente proporzionale alle tue possibilità di successo.

Hai già pensato a come supportare chi intende accogliere e alimentare le trasformazioni in atto?🧐Hai già strutturato un piano di informazione, formazione, azione per chi invece intende opporsi? 🧐

Apri bene gli occhi perché il pericolo è in agguato e i rischi per il tuo business sono elevatissimi 😱

Prima di spaventarti davvero, aspetta che ti presenti il secondo gruppo, le ultime 5 categorie analizzate e presentate da Egan.

➡️  gli indecisi: non prendono una posizione chiara
➡️  le mine vaganti: sono i più pericolosi perché tendono ad agire anche se non chiamati in causa. Le questioni su cui intervengono infatti il più delle volte non sono di loro diretto interesse, a volte non lo sono affatto, ma tendono a prendere una posizione per inclinazione personale o per sabotare iniziative.
➡️  gli oppositori: sono forse i più lucidi e corretti, non appoggiano il programma di cambiamento per motivi supportati da valide argomentazioni. Si oppongono al programma, ma non alle persone. Sono professionisti competenti che, pur non sostenendo il programma, proteggono le relazioni.
➡️  gli avversari: si buttano completamente nella causa. Si oppongono al programma, alla squadra che lo promuove e, se necessario, anche alla singola persona.
➡️  i senza voce: loro non agiscono. Rientrano in questa categoria soggetti sui quali il cambiamento avrà un grosso impatto, ma non hanno elementi o motivazioni per contrastarlo né per sostenerlo. Spesso, inoltre, non hanno nemmeno chi li rappresenta.Attenzione ora!
Non finisce qui: su ogni categoria infatti si interviene in modo diverso.
Nello specifico:

  • soci e alleati vanno tenuti vicini
  • gli oppositori vanno convertiti
  • gli avversari vanno gestiti.

E qui inizia il bello.
Per ogni gruppo di categorie va sviluppato un piano di comunicazione e di formazione dedicato, in modo da diversificare gli interventi e ottenere dai loro esiti il massimo risultato in termini di business e relazioni 💪

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Il valore della critica nella Comunicazione: le tre azioni da evitare.

La critica nella comunicazione è fondamentale, ma sono ben tre le azioni da evitare per non rischiare di rovinare tutto.
Partiamo da zero.

La critica è uno strumento importante e applicarlo nel modo corretto è l’unico modo per sfruttarne il potenziale e soprattutto i vantaggi.

La critica per sua natura, e per colpa del pregiudizio, gode di una connotazione negativa.

Nella nostra cultura in passato è andata spesso di pari passo con modalità educative come la punizione o il riconoscimento della colpa, generando sentimenti molto negativi come la frustrazione, il senso di colpa, il senso di fallimento.

Ma in questo l’etimologia aiuta e ci fa notare che la parola “critica” ha la stessa radice della parola “crisi”, che, come ben sappiamo, è vittima della stessa sorte.
 
Sulla parola crisi però qualche segnale di lume c’è stato e già da qualche anno qualcuno la avvicina al concetto di “nuovo inizio” o “opportunità”. 
Lo stesso deve valere per la critica ma il percorso è un po’ più in salita.

Il bambino che a scuola sbaglia che iter segue?
Spesso ancora oggi: il rimprovero (davanti a tutti), la punizione, l’umiliazione di dover intraprendere l’apprendimento dell’errore commesso in una modalità tanto deprimente.
I collaboratori possono sbagliare allo stesso modo.
E lì che succede?
Dipende dal capo, dal team leader, dal supervisore, che il destino ti ha assegnato.

Anche nel mondo adulto e professionale viaggiano aneddoti di interventi molto aggressivi e offensivi nei confronti dell’errore di un collaboratore. Senza arrivare all’estremismo del mobbing esistono realtà in cui la cultura del rimprovero governa tuttora indisturbata.
Come nella migliori tradizioni radicate nel tempo, anche in questo caso è facile azzardare una previsione delle conseguenze:
la critica è pesante, il collaboratore subisce un’offesa che sconfina inevitabilmente nel personale.
 

Nella migliore delle ipotesi si innesca un meccanismo di conflitto pericoloso per la salute mentale dei collaboratori e per il business, nel peggiore dei casi il livello motivazionale del collaboratore si abbassa al minimo storico, entra in un loop di crisi di competenza, qui neanche oso entrare nel merito della quantificazione del danno.

Disastro.


🔴  Una comunicazione efficace ha la funzione di migliorare le relazioni e, anche nel caso della critica, esistono almeno 5 azioni che si possono intraprendere per renderla positiva e costruttiva.
Prima di entrare nella parte bella della storia, è utile operare dei tagli ed eliminare una volta per tutte quelle iniziative, non chiamarle strategie, volte al rimprovero, alla derisione, all’accusa, che danneggiano la persona e il business, perché, in entrambi i casi, sarebbe un grave fallimento.Evita:

  • la casualità temporale. Anche il momento della critica va preparato e pianificato, perché c’è una precisa logica da seguire. Non ha senso intervenire subito, sulla base dell’emotività, solo per la fretta di incolpare. Aspetta il momento giusto che si traduce piuttosto nel “pianifica il momento opportuno”.
  • la presenza di altre persone: prima di stabilire che un feedback negativo, una critica, possano essere utili per tutti, è necessario valutare dopo un primo confronto con il diretto interessato. Una volta estrapolati i contenuti utili di una critica allora si può strutturare una condivisione costruttiva.
  • la generalizzazione. Le critiche non circoscritte, quelle che mettono in discussione non un singolo evento, non una specifica azione, non un momento isolato, ma l’intero operato della persona, o addirittura, la persona stessa.

 

Lavora su questo e smantella vecchi modi di ragionare e di operare 💪

Al prossimo contenuto ragioneremo su come impostare una critica in modo positivo, efficace, costruttivo con 5 specifici step!


Stay tuned!

Il mondo è cambiato, la comunicazione anche. Metti in pratica il principio di prossimità.

Che il mondo sia cambiato non c’è alcun dubbio.

Che la Comunicazione abbia avuto lo stesso esito neanche.

Realtà e comunicazione sono legate indissolubilmente. è tempo di sfide nuove perché è cambiata la realtà e di conseguenza il modo di concepire la quotidianità.

 

Il rapporto con il cliente è cambiato – sia esso interno o esterno -, non ci si incontra, ci si dà appuntamento su zoom, o se si riesci ad incontrarsi si evita la stretta di mano, la pacca sulla spalla con quelli più amici. I collaboratori si gestiscono a distanza, senza pausa caffè insieme per due chiacchiere, una risata … magari anche questo su zoom.

 

Ad un anno dall’evento epocale dell’emergenza sanitaria è cambiato il modo di concepire i valori per non parlare del loro ordine di priorità.

La sicurezza è diventato il mantra di chiunque, superando confini sociali, economici, territoriali. Tutti indistintamente vogliamo sentirci al sicuro. E guai se quella certezza manca, se quella speranza non si affaccia almeno una volta al giorno alla porta di ognuno.

Sostenibilità è diventato il valore che accende riflessioni e sensibilità. 

Relazione: quella parola magica che per alcuni è stata una nuova scoperta, per altri l’incubo di viverne senza o di condividere il tempo cercando di smussare o evitare la conflittualità.

Il distanziamento ha creato dei solchi tra le persone e dentro le persone, condizionando il loro modo di vivere per intero, ma soprattutto di porsi nei confronti degli altri.

Questi altri sono i cari lontani, i più vicini magari anche temuti o evitati, sono le relazioni che ci servono per lavorare, per fare networking, business. Insomma, il nuovo mondo ha determinato la nascita di nuove forme di Comunicazione, non nuove nella loro natura magari, ma nuove nei contesti improvvisamente stravolti, nuove nella percezione, nuove negli obiettivi.

Anche le parole sono cambiate.

Puoi forse più dire “ci vediamo” senza che nell’altro inneschi il pensiero “speriamo, che qui non si sa mai”.

Non puoi più motivare parlando di “accettare una sfida senza che il pensiero vada alla sfida della salute, per la vita. 

“Ce la faremo, dai!” un tempo era la frase dei coach, oggi ti rimanda subito a chi sta combattendo in terapia intensiva ed è inevitabile che sia così, che il pensiero vada lì.

Tutte le frasi, le incitazioni, le parole che prima usavamo con disinvoltura e con intenti positivi, oggi pur mantenendo l’intento positivo vengono ricontestualizzate e diventano angoscianti allusioni.

La mia domanda è: di cosa ha bisogno oggi il mio interlocutore?

La risposta che mi sono dato, prima di interrogarmi sulle parole, è che il mio interlocutore ha in primo luogo bisogno di sentirmi vicino a lui ovvero di vedere agito il principio di prossimità. 

Eh sì, proprio lui, Ovviamente non parliamo di una prossimità fisica, ma di una vicinanza vera anche quando il mio interlocutore non può vedermi. 

Hai presente quella sensazione che provi quando i tuoi cari sono lontani, ma senti che ci sono?

Hanno attenzione, cura di te, vogliono davvero sapere come stai, al di là dei tuoi risultati o successi a loro interessa sapere come ti senti, dentro di te. 

Ecco, a questo mi riferisco quando parlo di principio di prossimità.

Per il nostro cliente il discorso è analogo, ha bisogno di noi, di sentirci vicino senza il bisogno da parte nostra di vendergli qualcosa. 

 

Il principio di prossimità si può in questo modo mettere in pratica:

dando dei consigli, facendo sentire il cliente sicuro del fatto che le scelte fatte sui tuoi prodotti magari facciano il suo bene e quello della collettività, che si senta sicuro del fatto che venire a contatto con te, con il tuo ambiente, con il tuo prodotto non lo esponga a rischi di salute. Oggi anche questo assume un valore elevatissimo.

Il tuo cliente ha bisogno di sentirsi importante per te.

Un errore da non commettere per esempio? Non iniziare con lui una telefonate con un “come stai?”

Ti chiedi il perché?

Perchè c’è un retaggio dietro la frase “come stai” … tutte le volte che la senti sai che a breve riceverai una proposta o una richiesta … che palle!

Ed oggi, in questo contesto, in questo nuovo mondo, “ciao, come stai” non può significare che alla prossima frase cercherò di venderti qualcosa.

Non è questo oggi il modo di avere cura del tuo cliente.

Prossimità, cura, interesse vero.

La sua realtà è cambiata, il tuo modo di esserci deve cambiare.

 

Esistono parole felici? Giornata mondiale della Felicità

Esistono parole felici?
Legittimo chiedersi questa cosa alla vigilia della Giornata Mondiale della Felicità che avrà luogo il 20 marzo.Prima di approfondire il ruolo della Comunicazione nella felicità, è bene approfondire un momento questa ricorrenza.Il 28 giugno 2012 l’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite ha stabilito che da quel momento in avanti il 20 marzo sarebbe stata la giornata internazionale della felicità.Il testo recita così:

“L’Assemblea generale […] consapevole che la ricerca della felicità è uno scopo fondamentale dell’umanità, […] riconoscendo inoltre di un approccio più inclusivo, equo ed equilibrato alla crescita economica che promuova lo sviluppo sostenibile, l’eradicazione della povertà, la felicità e il benessere di tutte le persone, decide di proclamare il 20 marzo la Giornata Internazionale della Felicità, invita tutti gli stati membri, le organizzazioni del sistema delle Nazioni Unite, e altri organismi internazionali e regionali, così come la società civile, incluse le organizzazioni non governative e i singoli individui, a celebrare la ricorrenza della Giornata Internazionale della Felicità in maniera appropriata, anche attraverso attività educative di crescita della consapevolezza pubblica”

➡️  Senza scomodare la piramide di Maslow siamo tutti piuttosto consapevoli che il bisogno più ricercato dall’individuo – e spesso il più difficilmente raggiungibile – sia la felicità.

Secondo il Rapporto Mondiale sulla felicità 2018 dell’ONU, gli indicatori presi in considerazione per stilare una lista dei popolo più felici sono … indovina?

  • pil pro capite
  • sostegno sociale
  • speranza di vita
  • libertà
  • generosità
  • assenza di corruzione

Alla luce di questo the winner is … Finlandia!

E a seguire in cima alla lista gli altri suoi colleghi della penisola scandinava.

🔴  Le motivazioni della felicità, a prescindere dai rapporti istituzionali delle Nazioni Unite, sono estremamente soggettive legate ai momenti storici e personali.

Tuttavia sulla base di un modello di vita assodato e condiviso come quello occidentale è piuttosto coerente e attendibile che i fattori presi in esame siano realistici.La mia domanda ora è: come si colloca la Comunicazione all’interno di questo discorso?

👉 Che ruolo hanno le parole, i toni, i gesti, insomma tutto quello che un individuo può comunicare, nella ricerca della felicità?Ci sono parole che per propria natura includono felicità, pensa a :

  • benessere
  • sanità (nel senso fisico e mentale)
  • amore
  • generosità
  • aiuto
  • filantropia

è un elenco destinato a crescere se orienti il pensiero in questo direzione.

🔴 Quello che però nel mondo delle parole vale sempre è il valore della composizione, ovvero cosa metti prima o cosa metti dopo la parola centrale. Queste piccole particelle hanno il potere di ribaltare i contesti e trasformare una favola in un incubo.Pensa a quando ti viene comunicata una bellissima notizia – hai accesso a qualcosa che desideravi davvero e da tanto – ti illudi per qualche secondo, finché una semplice composizione di parole arriva a distruggere il sogno. Hai presente quelle robe del tipo

  • a condizione che
  • in presenza dei soli seguenti requisiti
  • fatta eccezione per
  • con una valenza limitata a

Quante probabilità ci sono che riesci a schivare tutti quei punti elenco?
Eh!

Un altro esempio riguarda il modo in cui le cose vengono comunicate. Sei in un contesto professionale da cui ti aspetti una crescita, un’evoluzione. Il tuo capo ti comunica una promozione come se ti stesse comunicando l’indirizzo da digitare sul navigatore, nessuno pone in risalto la cosa, nessuno pronuncia le parole magiche – congratulazioni, brava/o te lo sei meritato, sono felice per te –

La tua promozione sì ti consente di evolvere, ma l’assoluta mancanza di entusiasmo e di supporto da parte delle persone con cui ogni giorno dovrai lavorare abbatte la tua motivazione in modo difficilmente recuperabile.

Ma per fortuna le situazioni si possono ribaltare anche positivamente, ed ecco che accanto a parole con una carica negativa si possono collocare parole con un potere attenuante o anche consolatorio.
“Le cose stanno così, ma…”

  • possiamo provare a cambiarle
  • ti sosterremo in ogni caso

Insomma la parola magica non esiste, neppure se in apparenza lo sembra.

🔴  Esiste una combinazione ragionata, supportata da contesti, modellata dal non verbale e alimentata dallo stile relazionale di chi la trasmette.

Buona giornata della felicità e ricorda … parole felici in assoluto non esistono, ma quelle gentili funzionano sempre!