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Quando in un meeting si fa un’affermazione forte e nessuno dice nulla! Cosa comunichi quando smetti di comunicare ?
La prima domanda da porsi, prima di addentrarci in questo nuovo approfondimento è semplice, diretta, immediata: cosa comunichi quando smetti di comunicare?
Sembra un gioco di parole che nasconda chissà quale trucco della comunicazione,in realtà è una riflessione che merita tutta la nostra attenzione.
Senza ombra di dubbio, il mondo dei social ci ha portato a prestare maggiore attenzione alle modalità di comunicazione, questo perché ogni canale rappresenta una sorta di amplificatore che mette in risalto non solo il contenuto, ma soprattutto la forma dei messaggi da veicolare.
Qualche giorno fa c’è stato un gran polverone intorno al caso di Allegri che da qualche giorno ha disattivato tutti i suoi profili social.
Molti infatti, non hanno potuto fare a meno di pensare che questo ritiro dal mondo virtuale dell’allenatore della Juventus fosse legato alla sconfitta in Champions nell’andata degli ottavi con l’Atletico Madrid e a pochi giorni dalla sfida con i Napoli.
Si è parlato di motivazioni personali, ma a noi questo poco importa!
Quello che invece ci interessa è analizzare il fenomeno che ne è scaturito: la chiusura di un canale di comunicazione, e dunque l’interruzione della comunicazione di un personaggio molto attivo sui social (immancabili i suoi commenti dopo ogni partita), ha generato un gran parlare, e dunque un vortice ricchissimo di processi comunicativi tutti volti a capire cosa volesse comunicare con questo gesto.
Nella realtà delle cose potresti essere portato a pensare che si possa smettere di comunicare, in realtà porre fine a un’attività di comunicazione non è possibile, anche solo per il fatto di comunicarmi che non vuoi comunicare!
Sembra un grattacapo…e lo è!
Non comunicare è comunicare, e anche tanto!
Ti dirò di più: spesso non comunicando stai trasmettendo molti più messaggi di quanti riusciresti a trasferire comunicando!
Al di là dell’aspetto mediatico, strategico, Allegri è l’esempio che non basta smettere di dire le cose per porre fine alla comunicazione e, come spesso ci insegna anche la vita di tutti i giorni, proprio quando si smette di dire le cose si apre un mondo di messaggi da interpretare!
Ti faccio un esempio semplice di quanto il silenzio possa essere potente: hai presente quando nel corso di un meeting si fa un’affermazione forte che magari riguarda tutte le persone presenti e nessuno dice nulla?
Ecco questo è un chiaro esempio di silenzio assenso, e altroché se sto comunicando qualcosa!
D’altro canto uno dei fondamenti della comunicazione è citato nei principi della Programmazione Neuro Linguistica: non si può non comunicare!
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Comunicare attraverso le metafore, a quanto sembra, non è appannaggio dei soli romantici, ma una modalità spesso adottata anche in comunicazioni di carattere molto più pratico.
La metafora, secondo la definizione della Treccani:
Figura retorica che risulta da un processo psichico e linguistico attraverso cui, dopo aver mentalmente associato due realtà differenti sulla base di un particolare sentito come identico, si sostituisce la denominazione dell’una con quella dell’altra.
Spesso viene utilizzata per trasmettere il messaggio con un tono più evocativo, a volte può essere molto efficace nel rendere una comunicazione più veloce, in cui il significato delle parole, associato ad immagini, emerge con molta rapidità!
A scuola ci hanno fatto una testa così con le figure retoriche, ma sarebbe stato utile, per la vicenda che sto per raccontarvi, conoscere al meglio anche le occasioni d’uso, per evitare di sembrare fuori luogo e inopportuni.
Intendiamoci: non è che voglia condividere con te il diario delle mie giornate, ma nulla è meglio della realtà per spiegarci le cose e far emergere situazioni che si rivelano ottimi casi di studio.
Allora sì che puoi immedesimarti, e pensare a cosa avresti fatto tu.
Te lo immagini che figata se solo facendo esercizio di osservazione della realtà potessi lavorare sulla tua comunicazione e renderla più efficace?
Certo non basterebbe solo quello, ma se a quello che vedi e che vivi aggiungi quello che ti racconto nei miei post, vuoi scommettere che qualcosa cambia in modo molto positivo, e soprattutto vantaggioso, per te?
Ecco il caso di ieri.
Una persona che seguo da tempo mi chiama per raccontarmi un episodio che non sa interpretare. Lei e suo marito sono nel mezzo di una causa di lavoro molto delicata e complessa, da tempo il loro interlocutore principale è il legale dell’imprenditore con il quale entrambi collaboravano.
Si scrivono da anni, i toni sono moderati e collaborativi, non si tratta di una disputa in cui sono uno contro l’altro, ma una situazione da cui entrambi stanno cercando di uscire vincitori senza danneggiarsi a vicenda.
Le parti coinvolte sono “sulla stessa barca”, per usare una metafora, già che siamo in tema.
Ecco cosa è successo ieri sera.
Senza alcun preavviso né premessa, arriva sul telefono di lui, il marito della mia cochee, un audio contenente un verso di una nota canzone italiana di Pino Daniele inviato dall’avvocato della controparte.
Ecco il testo:
ma po’ quanno chiove
l’acqua te ‘nfonne e va
tanto l’aria s’adda cagna’.
Traduzione : “ma poi quando piove, l’acqua ti bagna e se ne va, tanto l’aria deve cambiare “
La risposta dei miei amici è stata un punto interrogativo, a cui il mittente, l’avvocato della controparte, ha risposto dicendo di ascoltare bene le parole di quel verso.
In sostanza il verso diceva che l’aria stava cambiando, dunque preannunciava positive novità, ma qualcosa di meno positivo rimaneva in sottofondo: la modalità comunicativa? La scelta di trasmissione del messaggio?
Per quanto le persone coinvolte si conoscessero e avessero ovviamente un rapporto informale, era davvero quello il modo di comunicare una simile notizia?
La mia cochee è rimasta piuttosto interdetta, e questo è già un dato significativo: non era un linguaggio condiviso.
Aveva necessità di parlare in codice? E che siamo in un film di spionaggio?!
Voleva essere simpatico? Forse.
Una sola cosa è certa: la scelta comunicativa è risultata inefficace e inopportuna a tutti gli interlocutori coinvolti, me compreso!
Lei non sapeva cosa rispondere, il marito ha creduto fino all’ultimo che il mittente avesse sbagliato destinatario ed io…io ho colto l’occasione per raccontarvi come e quando non fare un simile uso delle metafore…in una canzone poi!
Molti elementi entrano in ballo nella valutazione di una situazione d’uso:
- Gli interlocutori: c’era davvero un rapporto così confidenziale da potersi permettere di comunicare attraverso una canzone? La risposta è no, altrimenti nessuno avrebbe dato rilievo alla cosa.
- Il contesto: per quanto informale potesse essere il rapporto tra gli interlocutori coinvolti si stava parlando di una causa in tribunale. Hai mai conosciuto qualcuno che ha voglia di scherzare su qualcosa per cui sta combattendo e soffrendo da anni
- Il ruolo: sei un avvocato e stai lavorando. Questo non significa che devi passare le tue giornate in lutto, ma sicuramente devi saper comunicare anche il tuo ruolo, che spesso è quello di gestire questioni delicatissime e di fondamentale importanza per le persone.
- L’obiettivo: ok, abbiamo interpretato il testo della canzone. E adesso? Che mi hai detto di più? Quali sono i dettagli? Cosa è rimasto di quello che hai comunicato? Approssimazione, illusione, preoccupazione, ma soprattutto un grande punto interrogativo.
Poi mi sono messo lì e ho pensato: e se il legale avesse avuto a disposizione 90 minuti sarebbe stato in grado di sortire un effetto diverso?
A te la risposta…ma soprattutto a te la lettura se ancora non sai cosa puoi fare in 90 minuti con la Comunicazione d’Impatto!
E quindi riprendendo il titolo “Guarda gli altri e tu migliora: Scopri come …” NON FARE!